Scritto da 9:53 pm Siena, Attualità, Top News

Titolo: Il fragile silenzio di Sharm el-Sheikh

Siena (lunedì, 13 ottobre 2025) — C’è un sole innaturale a Sharm el-Sheikh, un sole che non scalda, che sembra stendersi sulle sabbie egiziane come una coperta stanca dopo una lunga notte di allarmi e di sirene.

di Valeria Russo

Lì, tra i vetri lucidi di un resort che si affaccia su un mare troppo calmo, i potenti del momento hanno firmato un documento che vorrebbe essere pace.

Donald Trump, tornato al centro della scena come un vecchio attore che non sa resistere al palcoscenico, si è seduto accanto ai volti impassibili del presidente egiziano Al Sisi, del turco Erdogan e dell’emiro del Qatar Al Thani. Quattro uomini, quattro lingue, quattro agende diverse, riuniti per un istante che il mondo ha già imparato a leggere con una certa rassegnazione: le paci firmate nel deserto durano il tempo di un tramonto.

Il foglio è stato firmato, le penne riposte con gesti solenni e impassibili, mentre i giornalisti hanno annotato la data come se bastasse un numero a fermare la storia. Ma la storia, quella vera, non è nelle dichiarazioni né nei comunicati stampa. È nel rumore del vento che passa tra le tende degli sfollati, nei corridoi d’ospedale di Khan Yunis, nelle finestre rotte di Sderot. È lì che si misura il valore di un accordo, non nelle sale climatizzate del Mar Rosso.

Gli ostaggi israeliani sono tornati, alcuni almeno, e con loro un numero imprecisato di prigionieri palestinesi. Scambi di carne e speranza, contabilità della disperazione. È la logica fredda della guerra quando si traveste da diplomazia. Nessuno applaude, nessuno sorride davvero. Si sa che questa non è la fine, semmai una pausa, un respiro trattenuto tra due bombardamenti, un filo teso che può spezzarsi al primo colpo di vento.

Eppure qualcosa resta. Non la fiducia, ma una sorta di sospensione del giudizio, come quando si smette di litigare solo per poter respirare. Gli egiziani, i turchi, i qatarioti e gli americani hanno messo la firma sotto un sogno che non appartiene a loro, ma alle madri che aspettano un figlio, ai bambini che non sanno cosa sia il silenzio.

Fuori, il deserto rimane immobile, come se non volesse applaudire. E forse fa bene. Perché la pace, quando è vera, non ha bisogno di cerimonie. È un fatto umile, quasi invisibile. Non si firma, si costruisce. Si fa con le mani, con la voce, con la memoria. E non c’è penna, per quanto dorata, capace di scrivere ciò che la storia ancora non ha deciso di concedere.

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Last modified: Ottobre 13, 2025
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