Scritto da 10:51 am Siena, Attualità, Top News

La rubrichetta neurodiversa. Neurodiversità e festività: la fiera dell’assurdo

Siena — C’è un momento, ogni anno, in cui il mondo impazzisce con il sorriso stampato in faccia. Lo chiamano Natale. Io lo chiamo l’apocalisse con decorazioni.
Tutti parlano di “spirito natalizio” come se fosse un virus. Lo trasmettono con abbracci indesiderati, auguri compulsivi e l’invito universale a “stare insieme”. Io vorrei solo stare in silenzio. Ma sembra che non sia contemplato nei valori occidentali.

di Valeria Russo

Per chi è neurodivergente, le festività sono come un concerto dei Måneskin dentro un ascensore. Troppo suono, troppa gente, troppe opinioni. Il mondo ti crolla addosso con la scusa della gioia collettiva.

Le feste come esperimento sociologico fallito

Durante le feste, l’umanità intera gioca a “indovina chi finge meglio”.
Tutti indossano l’espressione standard da “è un periodo sereno”, anche se sono sull’orlo di una crisi di nervi.
Io non fingo bene, non ho il talento. Quando mi chiedono “Allora, pronta per le feste?” rispondo “Pronta per la fuga, sì”.
Loro ridono. Io no.

L’interazione sociale sotto le feste è un incubo travestito da buona educazione. Si parla del tempo, dei saldi, dei figli degli altri. Tutti fingono interesse, nessuno ascolta davvero. È come partecipare a un podcast senza microfono.

La tombola del trauma collettivo

Le cene natalizie sono un campo minato con tovaglia rossa.
Qualcuno urla “Centrotavola bellissimo!”, qualcuno piange perché manca la zia del ’92, qualcuno discute di politica.
Io osservo. Gli altri parlano come se dovessero riempire il silenzio, io cerco solo di sopravvivere al rumore.
Ogni brindisi mi colpisce come una pentola in testa. Ogni risata sforzata è un colpo di graffetta dentro il cervello.
E quando inizia la tombola, penso che la vita sia troppo breve per ascoltare qualcuno gridare “ambo” con convinzione.

Il capitalismo con la glassa

Il Natale è la più grande operazione di marketing emotivo della storia.
Ti vendono l’amore in formato 3×2, la pace mondiale a rate, la gratitudine confezionata con fiocco.
Io non ci casco più.
Ho capito che dietro ogni “ci vediamo per gli auguri!” c’è un essere umano esausto che vorrebbe dormire fino al 7 gennaio.
E dietro ogni scambio di regali, un tacito patto: “Ti do una cosa inutile, tu fai finta che ti piaccia”.

Ricevere un dono per me è un’esperienza sociale degna di uno studio universitario.
“Ti piace?”
“È… molto interessante.”
Traduzione: “Cosa me ne faccio di un profumatore alla cannella che odora di chiesa e sensi di colpa?”

I figli, il caos e la verità

A casa mia, le feste sono una versione domestica del CERN: tre cervelli iperattivi che collidono in uno spazio ristretto.
Uno organizza il presepe come se fosse un progetto di ingegneria, l’altro analizza la musica degli spot pubblicitari, io cerco il modo più diplomatico di sparire senza destare sospetti.
Non c’è armonia, ma c’è sincerità: nessuno di noi finge di divertirsi.
Forse è questo, alla fine, il nostro spirito natalizio: l’onestà radicale.

I normodotati e la recita collettiva

I neurotipici dicono che il Natale “unisce”. In realtà unisce solo le loro nevrosi.
Si riuniscono per discutere di quanto siano stanchi, di quanto abbiano speso, di quanto ami la famiglia “anche se a volte è difficile” — cioè sempre.
Io li guardo e penso che sia straordinaria la loro capacità di trasformare l’ipocrisia in un valore condiviso.
Sorridono mentre si giudicano, brindano mentre si odiano, e pubblicano tutto sui social con l’hashtag #blessed.
Il loro vero miracolo è la coerenza: riescono a detestarsi con gentilezza.

Il giorno dopo l’apocalisse

Il 26 dicembre è la mia vera festa religiosa.
Silenzio. Piatti sporchi ovunque. Nessuno che parla di propositi o di gratitudine.
È il mio capodanno anticipato: la pace dopo il bombardamento sonoro.
Tolgo gli addobbi come se smontassi una scenografia, e penso che forse la differenza tra me e il resto del mondo è semplice:
io non ho bisogno di una ricorrenza per sentirmi viva, loro non sanno come farlo senza una scusa.

Epilogo

Il bello della neurodiversità è che non ci serve fingere di amare il Natale per sentirci umani.
Noi siamo già abbastanza umani così, anche quando scegliamo il silenzio invece della festa, la verità invece del decoro, la solitudine invece del rumore.

E forse è questa la vera magia delle feste: smettere di voler essere parte dello spettacolo e godersi, finalmente, la platea vuota.

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Last modified: Novembre 2, 2025
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