Siena (mercoledì, 8 ottobre 2025) — Aveva quindici anni, un’età in cui si dovrebbe avere paura solo dei voti a scuola o del primo amore non ricambiato. E invece lui, un ragazzo tunisino cresciuto in Toscana, ha deciso di parlare al buio. Il buio del web, quello che non illumina ma inghiotte.
di Valeria Russo
È lì che ha trovato le sue nuove parole: jihad, martirio, fratellanza. Parole che non appartengono a un quindicenne, ma che sullo schermo hanno la forza di sembrare risposte.
Lo hanno fermato a Montepulciano, mentre vagava come se cercasse un posto che non esiste. Aveva con sé un coltello a scatto, poco più di un giocattolo se confrontato con l’enormità del mondo che si era costruito nella testa. Ma bastava quello, un coltello e qualche video, per capire che qualcosa era andato storto.
Le indagini della Digos e dei carabinieri hanno scavato piano, come si fa quando si ha paura di trovare davvero ciò che si cerca. Dentro il suo cellulare c’era un percorso intero, un labirinto di link, immagini e giuramenti. Il ragazzo aveva trovato nel web il suo imam, un predicatore senza volto che lo aveva convinto che l’eroismo stesse nel sacrificio, che la fede si misurasse con la violenza. Gli aveva promesso appartenenza, un posto nel mondo. Ed è questo che cercava: non la guerra, ma un’identità.
Nel suo telefono, i poliziotti hanno trovato anche un video. Il ragazzo indossava un passamontagna e parlava a nome di Allah. Diceva parole di odio, ma con una voce che tremava. Non sembrava un fanatico, sembrava un bambino che recita una parte più grande di lui. Una parte scritta da altri, da adulti invisibili che si nutrono delle fragilità dei più giovani.
Il giudice ha deciso di mandarlo in una comunità, per proteggerlo e proteggere. La parola giusta, in questi casi, è “recupero”. Ma la parola giusta, in fondo, non c’è. Perché non si recupera facilmente un ragazzo che ha imparato a chiamare nemico il mondo.
La sua è una storia di solitudine. Una solitudine digitale, che cresce negli schermi senza finestre, dove tutto è più estremo, più veloce, più facile da fraintendere. È lì che l’adolescenza si trasforma in polvere da sparo, basta un clic per incendiarla.
E allora non si tratta solo di terrorismo, né di religione. Si tratta di ascolto. Di capire che un ragazzo di quindici anni, prima di diventare un sospetto, è un figlio di qualcuno che ha smesso di parlargli, o che non ha saputo competere con la voce più forte del web.
Oggi quel ragazzo è in una comunità, lontano dal suo telefono e dai suoi fantasmi. Chissà se capisce, ora, che la vera battaglia era contro quel vuoto che lo ha inghiottito. E che vincerla non significa morire per un’idea, ma restare vivi nonostante tutto.
Last modified: Ottobre 8, 2025

