Scritto da 12:52 pm Siena, Attualità, Politica

Un reddito che non vuole essere un divano

Siena (giovedì, 4 dicembre 2025) — La Toscana ha deciso di costruirsi da sola il suo paracadute sociale, ma senza imbottirlo di piume. Niente assistenza che culla, niente assegni che cadono dal cielo senza chiedere nulla in cambio: il nuovo Reddito di Inserimento Lavorativo nasce come un ponte, non come un porto.

di Valeria Russo

L’idea è semplice nella teoria e complicata nella pratica: aiutare chi ha perso tutto a rialzarsi, purché abbia ancora la forza – o la necessità – di mettersi in cammino.

Nel bilancio regionale spuntano ventitré milioni dedicati a questa misura, che qualcuno aveva già bollato come una riedizione elegante del reddito di cittadinanza. In realtà la filosofia è diversa: qui si sostiene solo chi non ha più ammortizzatori, chi è uscito dal lavoro senza protezioni e vuole rientrarci. Ma non può farlo così com’è, perché il mestiere che aveva è sparito, o è cambiato così tanto da non riconoscerlo più.

Il modello toscano funziona così: la Regione paga la formazione, quella seria, quella che serve davvero alle imprese che chiedono personale. Accanto al percorso formativo, un bonus mensile che oscilla tra seicento e settecento euro, per un periodo limitato: da nove mesi a un anno. Il tempo necessario per trasformare un licenziamento in un passaggio, e non in un punto morto.

Il presidente Giani, che della misura è l’architetto politico, ci tiene a sottolineare la parola che più gli sta a cuore: attiva. Non un sussidio che si esaurisce nel gesto del bonifico, ma un patto. Chi accetta il percorso deve impegnarsi, seguire i corsi, aggiornarsi, rimettersi in gioco in un mercato che non aspetta nessuno. La Regione, in cambio, offre strumenti e un piccolo cuscino economico per non cadere troppo in basso.

Il sostegno non chiede nuove tasse: i soldi arrivano da fondi nazionali destinati al lavoro, una dote rimasta in sospeso dai tempi del ministero Orlando. Risorse che la Toscana gestisce attraverso ARTI, la sua agenzia per l’impiego, e che ora vengono riorganizzate per dare forma a un esperimento che potrebbe diventare un modello stabile, se funzionerà.

Ci sarà da osservare, da misurare, da capire quante persone potranno davvero beneficiarne. La prima fase sarà un banco di prova: se l’ingranaggio gira, se il mercato risponde, se i corsi portano a un contratto, allora il progetto potrà diventare parte strutturale del welfare regionale. Se invece scivolerà nel pantano delle buone intenzioni, si dovrà rivedere tutto prima che sia troppo tardi.

Sul piano politico, la sfida è evidente. La maggioranza regionale parla di transizione lavorativa, di un sistema che somiglia più alle pratiche nordeuropee che ai vecchi sussidi italiani. L’opposizione, di contro, teme un travestimento elegante dell’assistenzialismo, una porta socchiusa che rischia di spalancarsi. È un dibattito che precede la misura stessa, e che certamente l’accompagnerà nei prossimi mesi.

La verità, probabilmente, sta nel mezzo: il nuovo reddito toscano sarà ciò che i cittadini decideranno di farne. Può diventare una scialuppa intelligente, capace di riportare in mare chi è rimasto senza nave; oppure può scivolare in quel vizio tutto italiano di trasformare le soluzioni temporanee in abitudini, e le emergenze in normalità.

Al momento, però, la traiettoria è chiara: chi chiede aiuto deve muoversi, studiare, aggiornarsi, rientrare nel mondo del lavoro con un profilo diverso da quello che aveva. Il welfare, qui, non è un giaciglio. È un corridoio. E chi lo percorre sa che dall’altra parte c’è un’impresa che aspetta, o almeno una possibilità.

La sfida è tutta lì: dimostrare che si può essere solidali senza rinunciare alla responsabilità, e che un reddito, se pensato bene, può servire non a fermarsi ma a ripartire.

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Last modified: Dicembre 4, 2025
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