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7 ottobre: tra memoria e geopolitica, il senso di una ricorrenza in bilico

Siena (martedì, 7 ottobre 2025) — Ogni data porta con sé non solo il segno del tempo, ma l’urgenza delle storie che la attraversano. Il 7 ottobre è una di queste giornate-simbolo: un punto di confluenza tra memoria e presente, tra simboli e conflitti che si intrecciano. Non è una ricorrenza facile, né ovvia. È il giorno in cui passato e futuro si guardano negli occhi.

di Valeria Russo

In molti Paesi mediorientali — e non soltanto lì — il 7 ottobre è diventato, negli ultimi anni, data carica di testimonianza e ferita. È un richiamo che non può essere ignorato, un promemoria che il conflitto non è mai remoto, ma sempre vivo. Nel calendario globale, quel giorno si fa lente attraverso cui scrutare le tensioni irrisolte, le promesse infrante e le speranze che tentano di sopravvivere.

Ricordare il 7 ottobre non significa celebrare vittorie o piagnistei. Piuttosto, significa interrogarsi. Significa chiederci quali cicatrici ancora portiamo come comunità globale, e quanto siamo disposti a riconoscerle. Il mondo è oggi attraversato da linee di conflitto che sembrano solide come muri, ma che sono costruite da parole, identità, ingiustizie e silenzi complici.

In anni recenti il 7 ottobre è stato evocato nelle retoriche dello scontro, nel linguaggio dei media, nella battaglia simbolica dei racconti. Ogni parte cerca di appropriarsene, di attribuirgli un senso che legittimi le proprie ragioni. E così la memoria diventa campo di guerra a sua volta: chi ricorda, chi tace, chi reagisce.

Eppure, se ha un compito la politica — e con essa la cultura — è quello di sottrarre la memoria alla guerra, restituirla alle persone. Ricordare non per ripetere il conflitto, ma per contenerlo, per farne specchio e ammonimento. Perché in quella data — in quel giorno — c’è la traccia di ciò che non vogliamo permettere che si ripeta.

Il 7 ottobre è anche un invito al dialogo radicale, non al compromesso superficiale. È un giorno che ci ricorda che le ferite collettive non si sanano da sole, e che le ragioni più giuste richiedono un ascolto che va oltre il grido. Dialogo con chi è diverso, dialogo con le storie che non abbiamo voluto vedere, dialogo con l’ipocrisia che abita le nostre convenienze.

In un’epoca in cui la memoria rischia di ridursi a slogan o a gesto simbolico, il 7 ottobre chiede responsabilità. Non basta ricordare: occorre mettersi in cammino. Occorre che la memoria diventi vigile, generativa, capace di orientare le scelte politiche e morali.

C’è chi lo vive sotto la minaccia dei bombardamenti, chi lo connette a mappe di distanza e chi lo osserva con scetticismo e distanza. Ma tutti siamo destinatari di quella data, se crediamo che la sovranità della pace valga più di ogni frontiera o potere. Il tempo che trascorre fra l’era della guerra e l’aspirazione alla fine del conflitto ha bisogno di punti fissi. Il 7 ottobre può essere uno di questi, se non sarà ridotto a carta straccia. Se non verrà cancellato dal temporale dell’oblio.

Il 7 ottobre non è un anniversario da celebrare come un trofeo. È un monito, una soglia. E sta a noi interpretare, ogni anno, il suo senso.

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Last modified: Ottobre 7, 2025
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