Scritto da 6:43 pm Siena, Attualità, Top News

Una ciclostazione nel silenzio

Siena (mercoledì, 30 luglio 2025) — Era nata per ospitare biciclette. Ne ha accolte meno di dieci. In cinque mesi. Nel ventre dello stadio Franchi, lì dove un tempo si cercava riparo dalle bombe, è comparsa una piccola stazione per le due ruote.

di Valeria Russo

Un’idea giusta, forse. Ma messa nel posto sbagliato, quasi con timidezza, come se la città non ci credesse fino in fondo. E infatti, almeno per ora, non ha funzionato.

Ci si aspettava un via vai di turisti, di pendolari virtuosi, di studenti ecologici. Ma il rifugio è rimasto vuoto. O quasi. Il flusso promesso non è mai arrivato. Alcuni puntano il dito sulla poca chiarezza con cui il progetto è stato raccontato. Altri segnalano che il luogo, nascosto com’è, sembra più un segreto che un servizio.

In molti, semplicemente, non hanno mai capito dove si trovasse o a cosa servisse davvero. Troppo nascosto, troppo poco raccontato. E nel frattempo, le biciclette continuano a legarsi ai pali, ai cancelli, ai cestini dell’immondizia.

La gestione, assegnata a Sigerico spa lo scorso marzo, ha avuto tempi troppo brevi per seminare qualcosa che potesse crescere. È come se si fosse aperto un servizio senza dargli nemmeno il tempo di farsi conoscere, senza una strategia, senza un racconto. E senza racconto, oggi, è difficile che qualcosa trovi posto nella memoria urbana.

Anche perché i problemi erano chiari fin da subito. Orari ridotti, chiusura notturna, divieto d’accesso durante le partite, una tariffa giudicata troppo alta per quel poco che offriva. E poi la posizione, nel cuore dello stadio, dove l’atmosfera è più da cemento armato che da mobilità verde.

Alcune associazioni avevano già espresso perplessità al momento della scelta. Tra le voci critiche, quella di chi avrebbe preferito interventi minimi ma mirati: rastrelliere nei punti nevralgici, parcheggi facili da raggiungere, luoghi frequentati ogni giorno e non solo immaginati sulla carta. Ma la voce di chi critica, si sa, spesso arriva dopo che il cemento è stato versato.

C’è stato anche chi ha pensato a un altro destino per quello spazio. Non bici, ma memoria. Benedetto Bargagli Petrucci, nipote dell’ex podestà Fabio, aveva proposto di trasformare l’ex rifugio in un percorso museale. Un luogo per ricordare, non per parcheggiare. L’idea era quella di restituire dignità a un pezzo di storia, custodirlo come si fa con i ricordi scomodi, quelli che però insegnano.

Per lui, e per altri, la ciclostazione non è solo inutile: è uno spreco. Un’occasione mancata, costosa, poco accessibile, e per giunta chiusa proprio quando una città dovrebbe essere aperta: di sera, nei giorni di festa, quando la gente si muove. Si poteva fare altrove, dice.

C’era chi indicava alternative concrete, come i sotterranei di piazza Gramsci, da tempo abbandonati a se stessi, in attesa che qualcuno li riporti a nuova vita, lontano dall’odore di muffa e dagli angoli dimenticati. E in effetti, basta passare da lì per capire che ha un senso.

Il nodo, forse, sta tutto in questa tensione: da una parte la voglia – giusta – di spingere verso una mobilità più leggera, più pulita, più lenta. Dall’altra, la necessità – altrettanto giusta – di ricordare da dove veniamo. Non solo come città, ma come specie. Una ciclostazione può essere utile. Ma non basta piantarla a terra come si fa con una fioriera.

E allora cosa sarà di quello spazio, nei prossimi mesi, resta tutto da capire. Se la gestione cambierà, se l’accesso verrà reso più semplice, se la comunicazione riuscirà davvero a raccontare l’utilità del servizio. Oppure se si tornerà a pensarlo da zero, mettendo da parte l’orgoglio e ascoltando davvero cosa può servire alla città.

Per ora, resta un rifugio vuoto. Ma con un grande interrogativo sospeso: che cosa vogliamo fare, davvero, dei nostri spazi comuni?

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Last modified: Luglio 30, 2025
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