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Sei voci da Gaza

Siena (martedì, 7 ottobre 2025) — Erano sei, e venivano da un luogo dove il cielo non è mai solo cielo, ma anche un promemoria di paura. Hanno attraversato confini e checkpoint, hanno aspettato più del dovuto, dormito poco, sperato molto.

di Valeria Russo

Martedì 7 ottobre, quando sono entrati nel cortile dell’Università di Siena, l’aria era diversa — più leggera, quasi incredula. C’era un silenzio attento, come quando succede qualcosa di giusto, finalmente.

Majd, Sanaa, Shahd, Shahd (sì, due Shahd), Zaina e Abdalrhman. Cinque ragazze e un ragazzo che portano dentro il rumore di un mondo in guerra e la delicatezza di chi, nonostante tutto, vuole ancora imparare. A Gaza lasciavano famiglie, amici, un quotidiano di interruzioni elettriche e notti insonni. A Siena trovavano un banco di studio, un tetto sicuro, la promessa – piccola ma tenace – di una vita che ricomincia.

Non è un miracolo, è un lavoro. Dietro c’è un esercito silenzioso di funzionari, docenti, ministri, ambasciate, fondazioni. C’è la Farnesina, ci sono la Guardia di Finanza, la Protezione Civile, l’ambasciata italiana in Giordania. C’è il Biotecnopolo, la Fondazione Monte dei Paschi, e soprattutto c’è un’università che decide di non restare spettatrice. Un Ateneo che si ricorda di avere un’anima, oltre che delle aule.

Majd studierà ingegneria informatica, perché da piccola smontava i telecomandi per capire come funzionavano. Sanaa andrà ad Arezzo, tra lingue e imprese. Shahd (una) si perderà tra i grafici e le statistiche di Economia, Shahd (l’altra) tra i circuiti e i codici. Zaina sogna di tornare a Gaza con un titolo che le permetta di costruire, non di fuggire. E Abdalrhman, l’unico uomo del gruppo, ha negli occhi la gravità di chi ha visto troppo presto cosa significa la parola “assedio”.

In Ateneo li hanno accolti con il rigore dei cerimoniali e la commozione che non si può dissimulare. C’erano il rettore Di Pietra, la ministra Bernini, i tutor, i rappresentanti delle istituzioni. Tutti a dire, ognuno a modo suo, che questa è una storia che vale più di mille convegni: sei studenti salvati da un inferno che non risparmia nessuno.

Ma la verità, quella che si legge negli sguardi e non nei comunicati, è che questa accoglienza è anche un riscatto per chi accoglie. Perché in tempi di confini chiusi, barche respinte e università che faticano a parlare di pace senza sembrare ingenue, aprire una porta è un atto politico. Piccolo, ma preciso.

A Siena, città di pietra e di memoria, sei ragazzi di Gaza hanno trovato un posto. Hanno davanti gli stessi corridoi che hanno attraversato generazioni di studenti, le stesse aule, gli stessi libri. Ma per loro, ogni pagina sarà un gesto di resistenza civile.

Nel mondo ci sono guerre, diplomazie, strategie. Poi ci sono storie come questa, che valgono come una tregua. Forse durerà poco, forse non cambierà nulla. Ma per un istante, in una mattina di ottobre, un’università italiana ha trasformato la conoscenza in un atto di pace. E in un tempo che si sta abituando alla paura, non è affatto poco.

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Last modified: Ottobre 7, 2025
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