Scritto da 7:37 pm Siena, Attualità, Top News

Piccolomini occupato: quattro giorni per imparare a discutere

Siena — A Siena l’autunno ha il passo lungo degli studenti. Dopo il Duccio di Boninsegna, tocca al Piccolomini: da martedì 28 a venerdì 31 ottobre 2025 la scuola diventa una città provvisoria, con le porte dell’aula magna come confini mobili e un calendario di assemblee, lezioni autogestite, incontri con docenti, storici, associazioni.

di Valeria Russo

Non è un assalto: è una presa di parola. Gli indirizzi Classico e Scienze Umane guidano la rotta; il Musicale resta fuori per ragioni logistiche, ma il coro, idealmente, è più ampio della sola sede.

Il motivo non è una moda di stagione. I ragazzi dicono che la scuola sembra allontanarsi dal mondo proprio mentre il mondo bussa forte. In cima al loro elenco ci sono la guerra in Palestina e la scelta italiana di puntare sulle spese militari mentre istruzione, sanità, università e ricerca arrancano. Nelle loro parole, che sono giovani ma già affilate, c’è l’idea che ciò che accade a Gaza non sia un capitolo lontano ma un dovere civico da interrogare, e che le cifre del bilancio non siano numeri neutri: trentadue miliardi per la difesa, di cui una fetta importante in armamenti, sono per loro una domanda politica prima ancora che economica.

C’è anche un nervo scoperto: la polemica scoppiata per una lavagna all’ingresso della scuola che mostrava una missione umanitaria della Global Sud Flotilla, episodio finito in accuse di antisemitismo rivolte al dirigente. Gli studenti lo leggono come un segnale di un clima che scambia troppo spesso la discussione per minaccia, la complessità per propaganda. Rivendicano una scuola che alleni al pensiero critico, non alla prudenza burocratica.

L’occupazione, garantiscono, è pacifica e responsabile: niente vandalismi, pulizie serali, turni, ingressi regolati. Ogni mattina dalle otto assemblea aperta; a fine giornata, verso le cinque, si chiude il programma e restano dentro solo i più motivati per riordinare, studiare, preparare la cena, dormire sui materassini come in un campeggio civile. Le lezioni autogestite sono accessibili anche agli studenti delle altre scuole, con un ingresso dedicato: un piccolo laboratorio pubblico, in cui le parole provano a trasformarsi in cittadinanza.

Sono ragazzi diversi per età, indirizzo, idee. Li tiene insieme una certezza elementare: ciò che ignoriamo non smette per questo di riguardarci. Hanno deciso di agire nel luogo in cui passano metà della loro vita, perché lì si impara l’alfabeto del mondo. Chiedono una scuola che metta al centro la crescita delle persone, non il culto del voto; una scuola che non tema il conflitto delle opinioni, perché il conflitto, quando è coltivato con rispetto, è palestra di democrazia.

Alla fine di questi quattro giorni resteranno appunti, cartelloni, discussioni interrotte a metà, qualche stanchezza. Ma resterà soprattutto l’idea che la scuola, se vuole, può essere ancora una piazza: non solo il luogo dove si studia la storia, anche quello in cui la si attraversa. In tempi di apatia, non è poco. In tempi di guerra, è già una scelta.

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Last modified: Ottobre 28, 2025
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