Siena — A Siena, in questi giorni d’autunno, l’aria sa di scuola ma anche di qualcosa di più raro: di coraggio. Dentro le aule del Classico e dell’Artistico, due licei che da sempre parlano di bellezza e pensiero, i ragazzi hanno deciso di fermarsi per capire.
di Valeria Russo
Non per ribellarsi, come si diceva una volta con sospetto, ma per mettere in pausa il rumore del quotidiano e ascoltare il battito di ciò che conta davvero.
Hanno occupato gli edifici, sì, ma in modo pulito, quasi gentile. Hanno portato cartelloni, parole, idee, non rabbia. Hanno parlato di Palestina, ma anche di scuola pubblica, di sanità, di lavoro. Temi che dovrebbero appartenere al mondo adulto, e che invece — come accade spesso — tornano vivi solo quando li pronuncia chi ha ancora la voce intatta.
La Rete Senese contro il Riarmo li guarda e riconosce in loro un’eco familiare. È la stessa che li muove da anni, quella che spinge a dire no alla logica delle armi e sì a un’economia che non si nutra di conflitti. Per questo, dicono, non potevano restare in silenzio: quei ragazzi stanno facendo esattamente ciò che gli adulti hanno dimenticato di fare, cioè pensare insieme.
A Siena non accadeva da vent’anni. Dal 2005, per la precisione, non si vedevano studenti stendere sacchi a pelo nei corridoi, non per dormire ma per custodire un’idea. Quattro mattine di occupazione su duecento di scuola: una parentesi minima, eppure capace di scardinare un’intera stagione di indifferenza.
Qualcuno, come sempre, storce il naso. Parla di tempo perso, di disobbedienza, di gioventù confusa. Ma chi si è fermato ad ascoltare ha sentito altro: il desiderio di partecipare, la voglia di capire dove si è andato a sbagliare. Perché la libertà, lo sanno anche loro, non è un diritto garantito una volta per tutte: va difesa ogni giorno, in ogni gesto.
C’è chi li ha visti la sera, seduti nei corridoi illuminati da lampade improvvisate, discutere di politica e di futuro come si fa tra pari. Nessuno spiegava, nessuno comandava. C’erano solo parole che si incontravano, e la sensazione che da lì, da quei muri antichi, potesse ricominciare qualcosa.
E forse è proprio questo il punto. In una città che spesso preferisce il silenzio alla discussione, due scuole hanno restituito al dibattito pubblico il suo respiro. Hanno ricordato che la partecipazione non è un fastidio, ma una forma di cura collettiva. Quando lunedì le lezioni riprenderanno, i banchi saranno gli stessi, ma qualcosa sarà cambiato.
Forse non il mondo, ma certo lo sguardo di chi ha avuto il coraggio di fermarsi per un istante e chiedersi: “A cosa serve tutto questo, se non a diventare più liberi?”.
Last modified: Ottobre 29, 2025

