Siena (martedì, 8 luglio 2025) — Quello che è successo sulle pendici dell’Amiata, tra il 6 e il 7 luglio di quest’anno, non si chiamerebbe “festival” se potessimo inventare una parola più giusta. Forse “convergenza di respiri”. O “gioco serio tra esseri umani e sentieri”.
di Valeria Russo
Alle Macinaie, che d’estate sembrano un pianoforte di foglie, si sono incontrati adulti che avevano bisogno di rallentare, bambini che sapevano come accelerare, e biciclette che facevano esattamente entrambe le cose.
C’erano e-bike per chi voleva scalare senza litigare con la gravità, curve disegnate per chi ha il coraggio di fidarsi del terreno, slalom per bambini, senza cronometri ma con applausi veri.
E c’era anche una signora che ha fatto yoga dentro un cerchio di silenzio, con le mani aperte al cielo come antenne in cerca di gratitudine. Due giorni. Ma vissuti come se il tempo non fosse lineare.
Le discese — curatissime, dicono quelli che ci capiscono — erano lì, ma non protagoniste. Le persone sì. Quelle che si portano dietro una borraccia, una felpa leggera e il bisogno di stare tra altri corpi vivi, senza dover spiegare nulla.
Sul prato, mentre alcuni riparavano catene e altri stendevano teli da picnic, un bambino ha guardato un rider saltare e ha detto solo: “voglio restare qui per sempre”. E in quel momento, tutta l’organizzazione, tutta la fatica degli operatori, tutte le notti passate a sistemare i tracciati e rispondere alle email, si sono trasformate in qualcosa che non si può misurare.
Però si sente. Non c’è stata retorica. Solo un palco che ha fatto spazio alla musica, non al volume. Solo un ringraziamento collettivo che non è stato mai annunciato, ma c’era. Lo si leggeva negli occhi di chi lavava le bici e in quelli di chi offriva da bere sotto un gazebo che sapeva di casa.
Il resto lo ha fatto la montagna. Con il suo modo unico di farti sentire piccolo ma esatto. E con la sua promessa non detta: “se torni, ti ritrovi”.
Last modified: Luglio 8, 2025

