Siena (giovedì, 3 luglio 2025) — Nella geografia sacra e ribelle di Siena, la Contrada dell’Oca è molto più di un nome tra diciassette: è un mito, un battito di tamburo che si ripete da secoli, una fierezza scolpita nel tufo e nella memoria collettiva.
di Valeria Russo
Nata nel cuore più vivo della città, l’Oca è una contrada che ha fatto della passione, del coraggio e di un’identità forte il proprio vessillo. E non solo nel Palio.
Le radici nel cuore della città
Le radici della Contrada dell’Oca si intrecciano con la storia più antica e popolare di Siena, in un tempo in cui la città era divisa in comunità vive, fatte di artigiani, commercianti, lavandaie e pellegrini. Il territorio dell’Oca si distende in uno dei tratti più intimi e pittoreschi della città, all’interno del Terzo di Camollia, dove le strade si rincorrono tra salite ripide e fontane antiche. Qui, tra le curve di via Fontebranda, i gradini di via Santa Caterina e gli scorci nascosti che si affacciano sulla conca senese, ha preso forma nei secoli un senso profondo di appartenenza, cementato dalla vita quotidiana, dalla fede e dal suono instancabile dei tamburi di contrada.
Secondo la tradizione, il simbolo dell’oca — apparentemente modesto — venne scelto per la sua natura vigile, fedele, domestica ma mai passiva. Un animale che protegge, che avverte, che vola solo se necessario, ma sa farsi sentire con voce chiara. Come i suoi contradaioli.
La santa e il popolo
Ma c’è qualcosa di unico nell’Oca: la sua leggendaria figlia, Santa Caterina da Siena. È proprio in questa contrada che nacque e visse colei che sarebbe diventata patrona d’Italia e d’Europa. Via Costa di Sant’Antonio e via Fontebranda custodiscono ancora oggi i luoghi della sua giovinezza e della sua fede, tra cui l’antica casa, divenuta poi santuario. Per i contradaioli dell’Oca, non è solo una devozione religiosa: è la memoria vivente di un’appartenenza forte, una testimone illustre che incarna la voce del quartiere nel mondo.
Il Palio: un campo di gloria
La storia dell’Oca al Palio è luminosa, battagliera, scritta con lettere d’oro e sudore. Con tutte le sue vittorie, la Contrada dell’Oca è la più “medagliata” della storia recente del Palio. Un dato che non è solo statistica, ma testimonianza di una tradizione strategica, di un’organizzazione puntuale, di una grinta che ha saputo attraversare i secoli.
Ogni corsa è un’epopea, ogni vittoria una festa che riempie le strade, ogni sconfitta un dolore condiviso e digerito insieme. Celebri sono state le vittorie con fantini leggendari come Aceto o Trecciolino, e indimenticabili i cavalli come Uberto, Fedora Saura o Zodiach. Ma più dei nomi conta il popolo: la forza della contrada risiede nel suo corteo, nei tamburini, nei bambini con la fazzoletto bianco-verde-rosso al collo, nelle donne che cuciono i costumi, negli anziani che narrano storie che sembrano fiabe ma sono cronache reali.
Tradizione e contemporaneità
L’Oca, però, non vive solo nel passato glorioso. È una contrada viva, con una struttura sociale solida, una società attiva e generazioni che si succedono senza spezzare il filo della memoria. La Contrada organizza eventi culturali, attività per i giovani, momenti di aggregazione aperti al rione e alla città.
Anche nei momenti più tesi della vita cittadina, l’Oca ha sempre mantenuto un profilo orgoglioso, spesso polemico, a volte scomodo. Eppure è proprio questa fierezza che la rende così riconoscibile. È una contrada che si assume la responsabilità di ciò che è, senza mai chiedere il permesso di esserlo.
L’Oca oggi: lo stesso canto, con nuove ali
Nel presente che avanza tra turisti e globalizzazione, la Contrada dell’Oca resta un baluardo. I bambini imparano il canto della Diana come si imparano le preghiere, e nelle notti di vigilia il profumo delle cucine si mescola con l’emozione di chi aspetta il Palio come fosse una nascita.
Non è solo una corsa di cavalli. È un’appartenenza che non si compra, non si vende, non si recita. L’Oca non ha bisogno di spiegarsi troppo: vive nei colori che avvolgono i suoi vicoli, nella voce che si leva alta da Fontebranda, e nel cuore di chi, ovunque si trovi, continua a sentirsi parte di quella piccola grande patria che ha preso il nome da un animale umile e fiero.
Perché l’Oca non vola spesso. Ma quando lo fa, lascia il segno.
Last modified: Luglio 3, 2025

