Siena (giovedì, 23 ottobre) — Ogni fine ottobre, puntuale come le zucche scolpite e i bambini travestiti da pipistrelli, il cinema italiano si trasforma in una Transilvania domestica.
di Valeria Russo
Le sale si riempiono di mantelli, parrucche, lampi di plastica e risate che odorano di popcorn: è il momento del Frankenstein Junior Halloween Party, una sorta di festa pagana dedicata al culto più nobile che la settima arte abbia generato — quello del ridere insieme.
C’è chi lo definisce evento, chi lo chiama rito. E in effetti lo è, perché non si tratta solo di guardare un film, ma di entrare dentro un universo in bianco e nero dove la follia è poesia e la scienza è un pretesto per far inciampare l’umanità nei suoi tic.
Mel Brooks, mezzo secolo fa, costruì un giocattolo comico perfetto, e oggi migliaia di persone, in tutta Italia, continuano a farlo girare, come un carillon che non si stanca mai. Sono centinaia di migliaia gli spettatori che, negli ultimi anni, si sono lasciati trascinare da quella danza tra il genio e l’assurdo che è Frankenstein Junior.
In un’epoca in cui ridere è spesso un atto solitario, confinato nello scroll del telefono, questa iniziativa restituisce al riso la sua natura comunitaria. Si ride insieme, si tossisce insieme, si ripetono le battute a memoria come formule magiche. È un rito collettivo, un carnevale della comicità dove le differenze si annullano sotto il sorriso scomposto di Gene Wilder.
Quest’anno il party fa un salto di livello, come se lo spirito di Igor avesse messo mano all’organizzazione. L’ingresso in sala parte da una Transilvania Station simbolica, e chi osa entrare senza travestimento rischia di sentirsi un estraneo in casa propria. Il dress code è un inno al caos: camici bianchi, occhi strabici, frustini, capelli cotonati, cilindri e borchie. Tutti dentro il film, tutti dentro la parodia, come se il confine tra spettatore e personaggio si fosse dissolto per magia.
Il cinema Notorius di Sinalunga, nel cuore del Senese, è tra i templi che accoglieranno il rito. Qui il bianco e nero tornerà a splendere, come se l’assenza di colore rendesse tutto più vivo. Gli spettatori — anzi, i partecipanti — non saranno semplici clienti con biglietto, ma devoti officianti di una liturgia laica che celebra la comicità intelligente, quella che non invecchia, perché parla direttamente alla parte più umana e ridicola di noi.
In un mondo sempre più spaventato dal ridicolo, Frankenstein Junior è un vaccino contro la seriosità cronica. Ogni battuta, ogni smorfia, ogni gag è un piccolo atto di ribellione al dogma del “prendersi sul serio”. È un film che ci ricorda che la stupidità, se usata bene, è una forma di grazia.
Così, nelle sale, si accendono i riflettori su un popolo di creature bizzarre che ha scelto, per una sera, di lasciarsi andare. Non c’è distinzione tra professori e studenti, tra genitori e figli: solo un unico coro che ride, applaude, e si riconosce nei tic assurdi di chi — da cinquant’anni — continua a gridare “Si può fare!” come fosse un manifesto esistenziale.
E forse lo è davvero. Perché il miracolo di Frankenstein Junior non è tanto aver creato un mostro che cammina, ma un pubblico che, anno dopo anno, continua a farlo danzare.
Last modified: Ottobre 23, 2025

