Estero (venerdì, 9 maggio 2025) — Da giorni ormai, la linea di controllo che separa India e Pakistan nella regione contesa del Kashmir è tornata al centro dell’attenzione mondiale. Colpi di artiglieria, raid aerei, attacchi mirati e gravi dichiarazioni diplomatiche stanno alimentando una crisi che rischia di trasformarsi nella più grave escalation militare tra le due potenze nucleari degli ultimi vent’anni. Sullo sfondo, tensioni etniche, rivalità religiose, interessi geopolitici e una lunga scia di sangue mai davvero interrotta.
Di Roberto Meloni
Tutto è iniziato a metà aprile, quando un attacco terroristico nella zona di Pulwama, nello Jammu e Kashmir amministrato dall’India, ha causato la morte di 37 soldati indiani. Nuova Delhi ha puntato il dito contro gruppi armati sostenuti da Islamabad, rilanciando la retorica del “terrorismo di Stato”. La risposta non si è fatta attendere: nella notte tra il 22 e il 23 aprile, aerei indiani hanno colpito obiettivi ritenuti campi di addestramento in territorio pakistano, scatenando l’immediata reazione di Islamabad. Il governo pakistano ha denunciato l’incursione come “violazione flagrante della sovranità nazionale” e ha risposto con un raid aereo nella zona di Rajouri, causando, secondo fonti locali, almeno 12 vittime tra i civili. Entrambe le nazioni hanno richiamato i propri ambasciatori e avviato esercitazioni militari su larga scala lungo il confine. In queste ore, la linea di contatto è attraversata da continui scontri a fuoco e violazioni del cessate il fuoco. L’India ha dispiegato nuovi reparti speciali nelle regioni settentrionali, mentre il Pakistan ha rafforzato la presenza dell’esercito a ridosso del Punjab e nel Baltistan. Intanto, il bilancio delle vittime civili sale: secondo la Croce Rossa Internazionale, oltre 150 persone hanno perso la vita e migliaia sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni. Il conflitto tra India e Pakistan ha radici profonde, risalenti alla tragica partizione del 1947, che diede origine a due Stati divisi su basi religiose. Da allora, le due nazioni si sono affrontate in ben tre guerre (1947, 1965, 1971) e innumerevoli scontri minori. Il nodo centrale rimane la regione del Kashmir, a maggioranza musulmana ma annessa all’India, che il Pakistan rivendica come propria. Negli ultimi anni, episodi di violenza ciclica hanno fatto da sottofondo a tentativi di dialogo spesso infruttuosi. Le relazioni si sono ulteriormente deteriorate dopo la revoca, da parte del governo indiano nel 2019, dello status speciale del Jammu e Kashmir, una mossa che Islamabad ha definito “provocatoria e illegale”. Le reazioni della comunità internazionale sono state immediate ma finora inefficaci. Le Nazioni Unite hanno invitato entrambe le parti alla moderazione, mentre Stati Uniti, Cina e Unione Europea si sono detti “fortemente preoccupati” per l’escalation e hanno lanciato appelli al dialogo. In particolare, Washington ha attivato canali diplomatici d’emergenza con entrambi i governi per evitare che il conflitto degeneri ulteriormente, soprattutto alla luce della presenza di arsenali nucleari in entrambe le nazioni. A preoccupare non è solo il rischio di guerra su vasta scala, ma anche la possibilità che attori non statali, come gruppi jihadisti o milizie radicalizzate, approfittino del caos per destabilizzare ulteriormente l’area. L’India e il Pakistan sono tra le poche nazioni al mondo in possesso dichiarato di armi nucleari. Sebbene entrambi abbiano più volte ribadito la loro intenzione di non ricorrere a tali armamenti in modo preventivo, la rapidità con cui la crisi è evoluta sta allarmando gli esperti. L’assenza di un vero meccanismo di de-escalation e il nazionalismo crescente da entrambe le parti aumentano il rischio di una spirale fuori controllo. Le prossime settimane saranno decisive. Da un lato, le pressioni internazionali potrebbero favorire una tregua, magari mediata da Paesi terzi. Dall’altro, l’impatto dell’odio sociale, della propaganda e della retorica bellica sui due fronti rischia di alimentare un conflitto prolungato e sanguinoso. In un mondo già provato da crisi economiche, tensioni globali e sfide ambientali, un’altra guerra – tra due potenze nucleari, per giunta – è quanto di più pericoloso si possa immaginare. Il tempo per fermarsi e tornare al tavolo del dialogo è poco. Ma c’è ancora.
Last modified: Maggio 9, 2025